Caveja
Questo progetto interdisciplinare vede impegnate diverse discipline che, interfacciandosi costantemente tra loro, consentono agli allievi di realizzare un prodotto legato al loro profilo professionale con una simulazione d’azienda che va dalla commessa di un prodotto, la Caveja appunto, alla sua commercializzazione.
In occasione della Filiera della Solidarietà, evento che si ripete ogni anno in occasione della consegna degli attestati di qualifica, gli allievi ritirano il loro elaborato e ne fanno dono alle autorità presenti alla cerimonia.
La storia si impegna nella ricerca sugli usi e costumi legati a questo oggetto e a come questo si sia modificato nel corso degli anni, offrendo la possibilità di approfondimenti legati alla storia del territorio romagnolo. In inglese si realizza un company profile (profilo aziendale) e si arricchisce il vocabolario tecnico. La parte culturale è dedicata alla descrizione di tutte le fasi di realizzazione, alla costruzione di una strategia di marketing e alla proposta di vendita, sempre a stretto contatto con l’insegnante di informatica, che, a volte in compresenza, accompagna gli allievi nella costruzione di volantini e presentazioni in power point del lavoro svolto. La matematica e la tecnologia divengono preziose per il preventivo, che considera i costi di materiale e manodopera così come il possibile guadagno tolte le imposte, e sono fondamentali anche per la realizzazione del capolavoro di officina al tornio ed alla fresatrice. Le discipline legate all’utilizzo delle macchine utensili, all’assemblaggio e alla saldatura collaborano affinchè la caveja diventi un capolavoro partendo da un pezzo grezzo.
Dalle lezioni di storia
La caveja è uno strumento agricolo con origini molto antiche ed infatti la sua prima antenata era inserita sul timone di un carro babilonese, ritrovato in Mesopotamia da alcuni ricercatori americani. In Romagna probabilmente è stata portata da un soldato romano al quale era stato consegnato un decumano di terra da coltivare in cambio dei suoi servigi militari.
Nel forlivese, questo attrezzo agricolo era detto caveja canterena, cioè che suonava, ma in altre città della regione il suo nome cambiava sensibilmente: pensate che solo a Cesena, vicinissima a Forlì, così come a Rimini veniva chiamato caveja longa dai anel o a Faenza, l’arnese veniva chiamato invece caveja campaneza.
La caveja aveva un uso in agricoltura e serviva per tenere rigido il timone del carro detto “biroccio o plaustro” al giogo al quale erano legati i buoi. Serviva anche da freno in modo che il carro non urtasse i buoi quando in discesa.
Le caveje più belle e rifinite venivano usate durante le processioni mentre per tutti i giorni c’erano quelle più semplici.
Le caveje avevano un uso anche come oggetto magico. Venivano per esempio usate per conoscere il sesso di un nascituro, per predire il tempo del giorno successivo e per augurare fortuna agli sposi.
L’arnese agricolo è composto da diverse parti: il fermo, lo stelo, la pagella.
Il fermo è la parte inferiore, ha una forma svasata e serve per fissare la caveja al timone del carro. Lo stelo è un’asta decorata con greche e scacchiere che va dal fermo alla pagella. La pagella è la parte piana saldata al fermo che di solito è molto decorato. Gli anelli sono caratteristici del prodotto, hanno una sezione quadrata, hanno un numero tra 2 e 6 e sono lasciati aperti per aumentarne la sonorità.
Le caveje venivano costruite dai fabbri romagnoli che facevano a gara per chi poteva produrre la più bella, un lavoro che occupava circa 30 o 40 giorni. Poiché erano molto costose non tutte le famiglie potevano permettersene una.
Dal 1930 circa, si è cominciato a produrre caveje in serie ed è quindi andata persa una tradizione professionale importante nella nostra regione che verrà ancora di più abbandonata durante la seconda Guerra Mondiale quando le caveje vennero piano piano trasformate in armi.